C’è una principessa scalza, col suo castello freddo.
Si aggira per i corridoi come se non le appartessero, e col vestito lungo afferra tra i ricami la polvere e le cose dimenticate da altri; le afferra tutte senza pensarci e il vestito è come una rete; diventa molto pesante mentre corre tra i mobili e i loro ripiani, le tende spesse e le pareti antiche, grosse e senza nome; mentre fugge attraversandole come si trattasse di un percorso solo in avanti; mentre perde i calzini per la fretta e le si sciolgono i capelli.
Più piccola di quanto non fosse all’inizio, e di quanto non sia mai stata, nonostante la strada percosa è come se mancasse d’esperienza e ragionevolezza; la gonna diventa lentamente il suo passato, cucito tra le pieghe.
Col mento in avanti, le farfalle nella pancia, respira forte e male
-anf, pant-
e sogna.
Sogna le regole dell’amore profondo e di quello supericiale.
“Hai un moscerino nell’occhio”, le sussurra un ragazzo adolescente e pieno di pensieri non detti
“Hai un contrabasso nelle sopracciglia -e nei pensieri- “, le suggerisce invece la voce interna, diversa, che ogni tanto le prende la mano virtuale (in quanto piena di virtù) e le indica una direzione precisa.
Sovrastata dalla propria filosofia, la principessa senza nome viene inghiottita dai pensieri di una finta primavera.
“Ci andiamo a prendere un caffè? mi piacciono i tuoi occhi” , dice lo sconosciuto all’angolo, dall’ombra paurosa ma lo sguardo gentile,
mentre lei pensa distratta
“15 orizzontale. E’ un sentimento. Ha cinque lettere. E comincia per A…”
Si contorce, la principessa poco elegante ed estranea a se stessa in attesa della stanza in cui si sente più a suo agio, quella che avvicina le persone anche se sono lontane, come se dialogassero senza sforzo, e mentre percorre corridoi e apre persiane sussurra un dudumduda. La giovane età e l’enorme peso delle vesti non le impediscono di arrossire ancora una volta.
“Si intravede in te qualcosa di vasto”
L’immagine della volpe con corpo da uomo, o più semplicemente dell’uomo con viso da volpe si sovrappone a quello del ragazzo dalla maglia chiara, che lungo la via del ritorno prende a calci l’imbarazzo e legge lettere d’amore cavando ispirazione da un piccolo scontrino; che a sua volta si confonde e disperde tra le espressioni improvvise dell’uomo che sorride per le cose insaspettate e di quello che invece abbassa lo sguardo tenendo in mano, sospeso, un piccolo spicchio di mandarino.
“Mutevole, sì, ma grande”.
Nel castello deserto di nessuno scende la notte, e il blù si nasconde in se stesso, i calzini spaiati spariscono, e le emozioni senza domande attendono nascoste mentre quelle piene di dubbi assumono una consistenza sempre più legnosa, traballante.